Uragani nei Caraibi: collezione Autunno 2020.

Sabato 14 novembre, cinque del pomeriggio circa. Sono a casa a Panama giocando con Mattia. Squilla il cellulare. Appare il nome del capo. Ogni fine settimana negli ultimi due anni ho ricevuto sue telefonate, anche a ore improbabili. Quindi niente di cui preoccuparsi. Mi saluta con “viejo”, introduzione che non prospetta nulla di buono. Poi tutto di un fiato: “organizzati per andare in El Salvador, l’ufficio ha bisogno di un rinforzo. Parti domani”. Ok rispondo. Fine della chiamata. 

Motivo del rinforzo: prepararsi in caso l’uragano Iota, che si sta formando poderosamente nei Caraibi puntando minaccioso la costa nicaraguense, prosegua la sua corsa devastatrice in El Salvador con conseguenti danni ingenti. Fa parte del nostro lavoro. Prevenire, preparare, rispondere. Come organizzazione, ma anche come persone. Siamo preparati all’evenienza senza veramente esserne abituati. Fa sempre effetto dover partire un giorno per l’altro. Da qualche giorno, stavamo monitorando la formazione di questo uragano, il secondo nel giro di due settimane, prima Eta adesso Iota. Entrambi formatosi in Atlantico, passati senza lasciare danni attraverso i Caraibi orientali (vedi gli articoli Dominica 2018), seguendo la stessa traiettoria e infine colpire lo stesso punto della costa nordorientale del Nicaragua, quasi alla frontiera con Honduras. Eta è stato un uragano categoria 4 con venti fino a 250 chilometri orari. Iota al largo della costa nicaraguense si è gonfiato fino a raggiungere categoria 5, il fondo scala con venti superiori ai 250 chilometri orari. Due belle bestie che arrivano, uno dopo l’altra di per sé già un evento raro, per di più a fine della stagione degli uragani quando si pensa di averla scampata e si prospetta di stare su una bella spiaggia caraibica con cocktail in mano piuttosto che a lavorare.

Giusto il tempo di dare un bacio a Giulia e Mattia e sono all’aeroporto di Panama in partenza per San Salvador dove incontro Chiara, una collega italiana con la quale avevo lavorato in Dominica. Lei destinazione Managua per dare una mano all’ufficio del Nicaragua, già pesantemente devastato da Eta e molto probabilmente da Iota. Porta con sé il marito e il figlio di un anno! Manca un mese a Natale con vacanze organizzate in famiglia in Sicilia ma soprattutto nel suo ultimo mese di assegnazione a Panama perché a gennaio si trasferiscono in Mozambico. Una tosta! 

Nei giorni successivi Iota colpisce duramente la regione atlantica autonoma nordorientale del Nicaragua, a maggioranza popolazione indigena, una zona strutturalmente povera dove la devastazione di un’uragano la indebolisce ulteriormente. A San Salvador dovrebbe arrivare due giorni dopo. Però la forza dell’uragano si sgonfia attraversando il Nicaragua tanto da diventare depressione tropicale al momento di entrare in territorio salvadoregno. Danni inesistenti in El Salvador, per fortuna. Anche se i danni derivano non solo dal vento ma soprattutto dalle piogge che un uragano genera. Rimango comunque due settimane in El Salvador per dare una mano per l’operazione post-Eta, che quello si aveva fatto danni. Così posso scherzare con i miei ex-colleghi facendogli notare che sono un portafortuna in grado di fermare l’uragano con la mia sola presenza! 

Ritorno una settimana a Panama e riparto di nuovo questa volta per Managua, con l’accordo che comunque sarei potuto tornare a Panama il 24 dicembre. Altrimenti si prospetta un altro Natale e capodanno a lavorare, cosa che ho finito comunque per fare visti i ritmi del mio lavoro “regolare” per il Venezuela. Di Managua non ho visto praticamente niente perché nelle tre settimane di permanenza cominciavo a lavorare alle sette e mezza di mattina per finire alle otto e mezza di sera. Ho fatto la spola tra ufficio e hotel, nient’altro. Ma era necessario un lavoro così intenso per avviare una operazione di assistenza in zone molto difficili da raggiungere.

A pensarci bene, l’organizzazione per la quale lavoriamo Giulia e io chiede molti sacrifici. A pensarci bene però non è che l’organizzazione, intesa come top-management, chieda veramente. Veniamo gentilmente informati di decisioni prese. Penso a Chiara che si butta nell’occhio dell’uragano con un figlio di un anno. Penso a Giulia cha ha passato due anni sperduta nel nordest dell’Afghanistan alla frontiera con il Tajikistan, zona di conflitto. Sicuramente la dedizione di tanti colleghi di stare nei posti più remoti, nei momenti più difficili ha contribuito al riconoscimento del Nobel per la Pace.

El Salvador, Bahia di Jiquilisco, Puerto La Libertad, El Tunco.

Managua, Nicaragua.

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