"Caminando y caminando por el mundo se irá consolando de a poco y un día, cuando ya no pueda dar un paso más de fatiga, se dará cuenta de que no se puede escapar del dolor; hay que domesticarlo, para que no moleste." Isabela Allende, La isla abajo del mar.
“Gli Albereschi se vedessero il camice verde come quello dei dottori, se lo mangerebbero tutto perché pensano che sia erba. Poi diventerebbero tutti sterili perché il camice è sterile.”
Tratto dal libro “La Storia Vera degli Albereschi” di Flavia.
Come sarebbe stata la tua festa di passaggio allo status di adulta? Sarebbe stato solo un passaggio formale, di convenzione giacché sei sempre stata matura, sempre in anticipo rispetto ai tuoi anni. Hai sempre pensato e parlato da grande per affrontare la prova più difficile: la vita. Però sarebbe stata una festa bellissima per il fatto meraviglioso di averti qui con noi. In questo periodo cosi innaturale di confinamento obbligatorio e di distanza sociale, visto che li hai vissuto entrambi, ci avresti spiegato che la vita va vissuta intensamente, sempre, fino alla fine. Che nella natura avremmo trovato le risorse, nella scienza la soluzione, nella creatività e nell’arte saremmo precipitati nel mondo della fantasia come la tua Mia Edler, l’apprendista investigatrice:
(Mia): Sua Maestà, siamo alla ricerca della rosa che non muore mai; secondo questo libro dovreste averla voi.
(Regina Bella Addormentata): È vero, l’abbiamo noi e non solo… la custodiamo dall’epoca degli Australopitechi, ma non la diamo.
(Spirit): Maestà, siamo mandati da Topolino per trovare gli oggetti necessari a salvare il pianeta.
(Regina Bella Addormentata): Attendiamo da anni ed anni e anni questo momento ma non è mai arrivato. Perché dovremmo fidarci di un gruppo di nani, un cavallo, un pupazzo di neve, di quattro minions che fino a due anni fa erano al servizio dei cattivi e di una semplice ragazzina…???
(Brontolo): Senta io sono destinato a seguire per la vita questo branco di nani e lei vuole complicarmi di più la vita?
(Cucciolo): Lo lasci perdere, è Brontolo, brontola…
(Olaf): …la prego…
(Regina Bella Addormentata): Non ci possiamo fidare di voi. Guardie! Portateli in prigione! Mi dispiace, siamo obbligati, dobbiamo difendere il nostro tesoro.
Tratto dalla sceneggiatura teatrale “A caccia di Sogni: la scoperta di Disneyland” di Flavia e Costanza, messa in scena per il tuo quattordicesimo compleanno.
Avresti scritto una storia, una sceneggiatura teatrale o il film che tanto volevi fare. Lo avresti realizzato con le tue amiche come in “Colors of Rainbow”:
(Narratore): “Buongiorno a tutti, noi siamo la società “I’m Unicorn” siamo qui per raccontarvi una storia, la storia, quella del paese Colors a cui hanno rubato i colori e, si sa, insieme ai colori c’è anche la felicità e soprattutto la magia degli unicorni! Ecco Dismonda, la strega con la goccia dei colori.”
Scena 1
(dismonda):“Finalmente la goccia dei colori è mia!”.
Ma ad un certo punto arrivano i tre troll che vogliono anche loro la goccia.
(troll 1): “la goccia è mia!”
(troll 2): “mi servono i colori!”
(troll 3): “babbei l’ho vista prima io!”
(dismonda):“l’ho presa prima io!”
Ed è tutto un tira-tira con urli schiamazzi finché la goccia non si rompe in 4 parti.
Scena 2
(Narratore): “Intanto al paese Colors sono tutti disperati. La buona regina Flavia, sfortunatamente sorella della perfida strega Dismonda, non sa più consolarli.”
(fata rubina): “Udite, udite! La regina Flavia in quanto regina di questo popolo partirà alla ricerca dei colori!”
Applausi generali
Scena 3
(Narratore): “E cosi l’intrepida Flavia partì”
Tratto dalla sceneggiatura dello spettacolo equestre “Colors of Rainbow” di Flavia messo in scena al maneggio nel tuo dodicesimo compleanno.
Mi manchi Flavia, anche se sei sempre con me. Mi mancano le tue parole, la tua fantasia, il tuo sguardo, il tuo essere bambina ma già adulta, da sempre. Per sempre. Festeggia felice il tuo compleanno nel tuo mondo fantastico popolato da cavalli, unicorni, fate, regine, principesse, cani che vivono sugli alberi che vogliono salvare il mondo e la vita di noi, ancora qui giù.
È arrivato il momento di lasciare San Salvador. Nuova meta Panamá, con un piede in Venezuela. Il trasloco è già in camino verso Panamá. Con Giulia e Mattia, ormai un grande ragazzo di cinque mesi, andiamo in aeroporto accompagnati da Nelson con il suo taxi giallo. Nelson è il tassista di fiducia del gruppo di amici di San Salvador. Statura media salvadoregna, corpo solido senza eccedere nel sovrappeso, occhio sveglio, sempre il sorriso sulle labbra. Gentilezza e disponibilità salvadoregna. E un gran chiacchierone.
Nelle varie corse andata e ritorno dall’aeroporto, abbiamo parlato di tutto in quella mezz’ora di tragitto. Politica: tendenzialmente conservatore quindi elettore di Arena ma attratto dalle “nuove idee” di Bukele. Famiglia: tre figli, due adolescenti, uno più piccolo. Dio sempre presente tra i gracias a dios, dios mediante, primero dios e si dios quiere a prologo e chiusura di ogni chiacchierata. Calcio: non lo segue particolarmente ma tra Real Madrid e Barcelona, scelta obbligata di ogni salvadoregno, preferisce la squadra catalana. Economia e società: temi proposti da me per capire come arriva a fine mese e il suo senso di sicurezza sociale. Quanto si affrontano temi economici e di società in El Salvador, la mente subito corre a mara salvatruccha, la mara, losmareros o las pandillas, quest’ultimo il termine più comune. In tre anni Nelson non ha mai menzionato las pandillas malgrado l’avessi incalzato varie volte. Se la cavava sempre con un sorriso e passava a altro. Tranne in questo ultimo passaggio.
In mezz’ora ci ha spiegato tutto. Come avvengo i contatti con la pandilla. Le loro pretese. Il loro controllo. Le loro minacce. Come ci convive. Andiamo con ordine. Nelson fa parte di un gruppo di dieci tassisti riuniti in una cooperativa informale. La propensione a associarsi in cooperative in El Salvador è molto bassa per motivi storici e per la diffidenza nel prossimo, soprattutto per la questione delle pandillas. Questa cooperativa de facto ha stabilito il suo quartiere generale in una piazza della borghesia di San Salvador, zona Escalón. Lì ogni mattina si incontrano per organizzare la giornata e prendere un caffè in compagnia, servito dai tanti ambulanti che girano con termos gigante caricato sulle spalle a mo’ di zaino e tutto il necessario per servire una brodaglia nera tipicamente americana, arricchita da una quantità spropositata di zucchero.
Una mattina, di più di dieci anni fa, vengono avvicinati da un giovane che gli fa capire che “loro” stanno seguendo il movimento dei taxi e che, se si mettono d’accordo, non avranno problemi. È una zona controllata dalla Barrio18 o più semplicemente dieciocho. Dice che ripasserà tra qualche giorno dopo aver lasciato alcune istruzioni. Primo, non provare a denunciarlo perché “loro” sanno dove abitano, chi sono i famigliari e quant’altro su ognuno di loro. Secondo, d’ora in poi parleranno con un solo portavoce del gruppo di tassisti quindi devono scegliere chi di loro li rappresenterà. Terzo, tutti i messaggi (oggi via whatsapp) devono essere cancellati immediatamente e tanto meno fatti circolare, neanche tra di loro. Quarto, sono “loro” che si fanno vivi, anche perché cambiano numero di telefono e interlocutore in continuazione. Se seguiranno queste semplici regole di base andrà tutto bene.
Il primo punto da negoziare è ovviamente la renta, il quantum. Ormai da dieci anni pagano dieci dollari a testa alla settimana. A dire il vero è una responsabilità in solido. Il gruppo deve fornire 100 dollari alla settimana poi internamente si organizzano come vogliono. Tanto che la cooperativa originariamente contava su una quindicina di membri, nel tempo ridotti a dieci. La renta non è cambiata. Ma neanche aumentata. Tranne alcuni bonus una tantum. Nelson si apre completamente e ci sorprende. Prende il telefono e ci mostra l’ultima richiesta, del giorno prima. “Vedete” dice “il nostro rappresentante ci ha girato queste foto per giustificare la richiesta di un aiutino speciale per far fronte a delle spese impreviste.” Nelle foto si vede un marero conciato male, probabilmente il risultato di una rissa. Occhio nero, escoriazioni varie per cui ha bisogno di cure mediche per rimettersi. Quindi cosa c’è di più normale che chiedere aiuto ai suoi “clienti”. Senza eccedere nelle richieste. Solo un aiuto di 100 dollari in più questa settimana. “E voi che farete?” chiedo. Nelson dice che pagheranno come sempre. Poi loda le capacità del loro rappresentante-negoziatore che nel corso degli anni ha saputo calmierare la renta e limitare queste richieste extra. Effettivamente è veramente incredibile come mantengano una quasi normale relazione commerciale dove la mara vende il suo servizio di protezione… protezione da loro stessi. E sono arrivati a un punto di equilibrio sul “prezzo” pattuito. Paradossale, ma il racket funziona cosi in tutto il mondo.
Però in El Salvador questo racket è una cosa da poveri, che colpisce i poveri da parte di un manipolo di ragazzi ancora più poveri. Reclutati giovanissimi, normalmente tra i dodici e i quindici anni, cominciano con piccoli incarichi fino all’evento dell’iniziazione: prima farsi picchiare dal tuo gruppo di appartenenza, a sangue. Se dimostri di valere ottieni la promozione e l’ultima prova di ammissione nel gruppo. Ammazzare qualcuno. Diventi uno che conta e puoi tatuarti i simboli di appartenenza: la sigla della mara e una goccia per ogni esecuzione compiuta, da tatuarsi preferibilmente in faccia, ben visibile. Più cresci nella gerarchia sociale, più guadagni prestigio, più vivi in roccaforti al centro della comunità ben protette dai tuoi subordinati. Ma il lusso non arriva con la promozione. Continui a vivere con guadagni miseri per una vita ancora più misera. Solo il prestigio e il senso di appartenenza ti gratificano, con il sentimento di vivere una vita che conti, anche se di solito finisce o molto presto ammazzato o in un carcere. Per certi aspetti la prima opzione sembra più attraente della seconda.
Chiedo a Nelson perché collettivamente non denunciano i mareros che chiedono loro la renta. Dopo vari sorrisi imbarazzati spiega che il rischio è troppo alto e tutto sommato il lavoro gli consente di pagare la renta. Meglio pagare un po’ e continuare a lavorare tranquillamente senza problemi per lui e soprattutto per la famiglia. Perchè la mara sa bene quale leva utilizzare: la famiglia appunto. Ogni richiesta viene sempre accompagnata con una potenziale minaccia a un famigliare, dopo un accurato studio su facebook e instagram per capire parentele e abitudini. I salvadoregni sanno bene cosa vuol dire esporsi pubblicamente attraverso i media sociali e come può diventare molto pericoloso.
Però quello che mi sorprende di più di questa mezz’ora di confessione è che Nelson abbia mostrato le foto del marero malconcio violando due regole di sicurezza. La prima, di gran lunga la più rischiosa: avere le foto salvate sul suo telefonino. Niente di più facile che un marero della cricca che li estorce, passando una delle mattine alla piazza per dare il consueto salutino chieda di vedere il telefonino. Un controllo-sorpresa da ispettore del lavoro in funzione. Una sentenza di morte per il contravventore o un suo caro. La seconda regola disattesa: che abbia mostrato le foto a qualcuno. Ma in fondo è la nostra ultima corsa. Siamo stranieri che traslocano, che vanno oltre, senza lasciare tracce, senza possibilità di utilizzare questa informazione. Senza dubbio Nelson si fidava anche prima ma meglio aspettare l’ultimo passaggio per svelare i segreti del paese. Prima, anche con Nelson, abbiamo scoperto un Salvador bellissimo, accogliente, colorato, variegato seppur piccolo, il più piccolo di tutto il continente americano ma, come recita lo slogan del paese, “grande come la sua gente”.
Periodo di fine settimana San Salvador-Panamá-San Salvador prendendo Uber per andare e tornare dall’aeroporto. Trenta minuti di corsa, spesa tra i 18 e 25 dollari. A Panamá la scelta di Uber è obbligata per il rapporto costo-qualità. L’autista di fiducia che orbita tra i colleghi di ufficio ne chiede 35-40 e per questo lo utilizziamo solo per i trasporti voluminosi, stipando tutto nel suo pick-up. Mitici sono stati il mini-trasloco portando la bicicletta avanti indietro e il trasferimento definitivo da San Salvador a Panamá con tanto di bicicletta e tavola da SUP di tre metri di lungo, cinque valigie e passeggino di Mattia. L’altra opzione dei taxi ufficiali gialli è assolutamente inaffidabile con prezzi aleatori e automobili improbabile dove uno si chiede come facciano a avanzare.
Ci sono due categorie di autisti di Uber a Panamá. Chi lo fa per mestiere, a tempo pieno. Chi lo fa per arrotondare lo stipendio per arrivare a fine mese. Si capisce abbastanza rapidamente la categoria accertando quanto l’autista abbia voglia di parlare. Chi lo fa come secondo lavoro è più propenso a chiacchierare. Per rompere il ghiaccio si parla del tempo oppure di come va il business. Quindi si passa al calcio o alla politica. Poi se l’autista è un uomo, si può terminare cercando di stabilire in quale paese le donne sono più belle, memore degli insegnamenti del mio amico Bruno, grande viaggiatore, che mi disse che se parli di tempo, calcio o donne troverai sempre un argomento ovunque nel mondo.
Il tema del momento prevale comunque. Come prima e durante i Mondiali 2018, il tema del calcio era d’obbligo, visto che la nazionale di Panamá si era qualificata per la prima volta a una fase finale dei Mondiali. Prima che cominciassero, molti vedevano Panamá se non proprio in finale almeno al turno successivo. È finito con tre sconfitte tutto sommato onorevoli contro Belgio (0-3), Inghilterra (1-6) e Tunisia (1-2). Però rimane memorabile il momento in cui sotto di sei reti contro gli inglesi al 78’ i rossi di Panamá segnano il loro primo gol nei Mondiali. I molti tifosi panamensi arrivati fino in Russia festeggiano sugli spalti come se avessero vinto il Mondiale. D’altro canto, il calcio è talmente popolare che quando si sono qualificati in modo rocambolesco in zona Cesarini, grazie alla combinazione della sconfitta degli Stati Uniti contro Trinidad e Tobago e gol molto dubbio a favore di Panamá per battere il Costa Rica, il Presidente di Panamá alle due della notte stessa dichiara due giorni di festa nazionale. Visti i fiumi di alcol che accompagnano i festeggiamenti pochi si sarebbero presentati al lavoro il giorno dopo. E il fatto che avessero vinto ai danni dell’ex “colone” statunitense ha mandato alle stelle l’orgoglio nazionale.
L’altro tema forte è stato quello politico delle elezioni presidenziali di maggio 2019. Un giorno mi da il passaggio un signore distinto molto articolato che subito mi chiede che cosa faccio a Panamá. Passa a raccontarmi del suo passato da ingegnere sulle piattaforme in giro per il mondo. Quindi, ormai pensionato, ha messo su questo piccolo business con Uber con cinque macchine non per guadagnare soldi ma per raccogliere le firme necessarie per presentarsi alle elezioni presidenziali e finanziare la sua campagna elettorale. Il suo ragionamento era cristallino: in trenta minuti puoi convincere qualcuno a darti la fiducia. Ma aveva anche un piano B perché, mi spiegò, se non fosse riuscito a raccogliere le firme necessarie avrebbe dirottato il suo pacchetto di consenso verso il candidato che sicuramente avrebbe vinto. Il nuovo Presidente, riconoscente, lo avrebbe ricompensato con un posto di ambasciatore in una simpatica capitale, europea di preferenza. Era tutto calcolato insomma. Spero avesse anche un piano C, perché il suo candidato forte non ce l’ha fatta.
Il nostro-futuro-candidato-presidente-ma-forse-ambasciatore è uno dei tanti autisti di Uber che lo fanno come secondo lavoro. Dalla casalinga che cerca un po’ di autonomia economica, al responsabile di una piccola fabbrica di bevande gasate che non riusciva più a combattere la supremazia dei grandi marchi e anticipava la imminente disoccupazione. Dalla segretaria di uno studio di avvocati al tecnico specializzato nella impermeabilizzazione dei grattacieli perché la speculazione edilizia tira su grattacieli che poi fanno acqua da tutte le parti, nel vero senso del termine. Tutti, professionisti o saltuari, si danno l’obiettivo di 100 dollari netti al giorno da racimolare con Uber. La vita non è facile a Panamá, paese dai grandi contrasti e marcate ineguaglianze.