Le giornate della memoria – GdM1

Il Coordinatore Residente ha deciso di organizzare per il country management team quattro giorni in una sorta di viaggio nella memoria recente del paese, in vista della celebrazione della firma dei 25 anni degli accordi pace che hanno messo fine ad una guerra civile durata 12 anni dal 1980 al ’92.

La guerra inizia con il rovesciamento del generale Carlos Romero, ultimo presidente di un regime militare al potere dal 1931, da parte di una forza para-militare Juventud Militar sostenuta dagli statunitensi preoccupati che il generale Romero stesse perdendo il controllo del paese di fronte al rafforzamento di gruppi armati di sinistra sostenuti dai sovietici. Un vero pezzo di guerra fredda che diventerà guerra guerreggiata per i salvadoregni. Paradossalmente, il golpe fu avallato dal Foro Popolare che raggruppava le forze di sinistra riformatrici, tanto che si costituisce una sorta di governo di unità nazionale definito Primera Junta Rivolucionaria Nacional. Appoggiata anche dai gesuiti, la Primera Junta inizia a governare con promesse di riforma sociale agraria e nazionalizzazione della banca centrale e del commercio del caffè principale fonte di reddito del paese. Però vista la forte presenza militare nella Primera Junta, el Ejercito Rivolucionario del Pueblo si tira fuori e fa appello alla lotta armata che si organizza nelle campagne e nelle montagne. Iniziano così 12 anni di guerra civile che faranno più di 50 mila morti civili e militari.

Iniziamo la visita alla UCA, università centroamericana, la seconda di San Salvador, istituita dalla Compagnia di Gesù nel 1965. Ci riceve padre Tojeira, allora giovane capo dei gesuiti degli anni ‘80, spagnolo che sarà testimone dell’uccisione nel 1989, proprio alla UCA, di 7 gesuiti, la cuoca e sua figlia 17enne per mano di militari. Ci racconta l’episodio dentro al museo che è stato istituito. In modo molto gesuita e con molta diplomazia racconta senza mai sbilanciarsi veramente su chi furono gli autori del massacro, anche se ci sono forti dubbi che lo stesso allora presidente Alfredo Cristiani avesse avallato indirettamente o addirittura direttamente l’attacco. Cristiani sarà poi lo stesso presidente che firmerà gli accordi di pace. Padre Tojeira ci racconta com’è riuscito a far testimoniare la donna delle pulizie che ha visto scappare i militare, per poi farla uscire dal paese via l’ambasciata spagnola (malgrado l’ambasciatore avesse detto inizialmente di no) e poi rifugiata in USA. È stata una testimonianza fondamentale per identificare gli esecutori materiali. La partita è ancora aperta nonostante un mandato di cattura internazionale emesso dai giudici spagnoli. Ma i salvadoregni preferiscono regolare la faccenda da soli forse con una nuova legge di amnistia e riconciliazione nazionale. Padre Tojeira scoprirò molto dopo, da un giovane avvocato spagnolo che ha rinunciato a una brillante carriera forense a Madrid per lavorare nell’ufficio diritti umani dell’UCA diretto proprio da Tojeira, che il padre gesuita si sta battendo come un leone per il riconoscimento dei diritti umani in El Salvador. Un grande personaggio insomma.

Visita alla chiesa dove fu ucciso Monsignor Romero poi alla sua casa e infine alla cripta nella Cattedrale di San Salvador dove sono custodite le sue spoglie. Personaggio di spicco per le sue denunce di violazione dei diritti umani sia della giunta militare ma anche degli eccessi del fronte della guerriglia. Ucciso da un sicario mentre dava messa un lunedì di marzo 1980 alle 6 di pomeriggio. Un colpo solo al cuore, da lontano. L’esecutore materiale non fu mai trovato mentre si parla apertamente dell’ordine impartito dal militare Roberto d’Aubuisson che l’anno successivo fonderà ARENA, il partito di destra che governò dopo gli accordi di pace fino al 2008 e ancora oggi costituisce il principale partito di opposizione. La nostra guida alla casa-museo di Monsignor Romero è colui che ne fu l’aiutante laico. Ci racconta che un mese prima dell’assassinio, dopo aver visto movimenti strani intorno alla chiesa, avevano messo in piedi un piano di sicurezza che Monsignor Romero disattendeva sempre per andare in mezzo alla gente. Quando visitiamo la cripta ci danno un “santino” con un minuscolo pezzo di stoffa come reliquia del beato Romero in procinto di diventare Santo. Rimango sempre affascinato e sgomento davanti alla capacità autocelebrativa iconografica della Chiesa. Uno del gruppo mi racconta in pieno fervore mistico dei miracoli che il beato-quasi-santo-romero anche da morto è riuscito a far ottenere ai suoi discepoli. Parliamo di guarigioni miracolose. Mah… Comunque un immenso personaggio Monsignor Romero, unica figura unificatrice de El Salvador. Anche se nella Cattedrale di San Salvador i ritratti di Monsignor Romero e di Monsignor Josemaría Escrivá de Balaguer, fondatore dell’Opus Dei, sono posti uno di fronte all’altro, probabilmente per accontentare destra e sinistra.

A chiudere la giornata visita al carcere del periodo della guerra, ora diventato centro culturale con poche tracce di quelle che fu. Guida illustre José Antonio Morales Carbonell Subsecretario de Gobernabilidad cioè Vice Ministro della Governabilità. Antonio è figlio di Antonio Morales Erlich per anni sindaco di San Salvador e quando scoppia la guerra, ministro della democrazia cristiana al potere. Antonio figlio diventato attivista del Frente Farabundo Martì para la Liberacion Nacional (FMLN) a diciott’anni e venne arrestato nel 1980 rimanendo in carcere 2 anni, proprio nella cella che stiamo visitando. Figlio contro padre insomma. Tre ore di racconto di episodi molto intime sulla vita in carcere, di come riuscì a diventare leader e creare un collettivo per la gestione della prigione. Per esempio, ci racconta di come convinse il direttore del carcere a farsi dare metà del budget per il cibo e riuscirono a organizzarsi tra detenuti politici, separati dai detenuti comuni, per far arrivare cibo decente da fuori per tutti, guardie comprese. Probabilmente l’altra parte del budget rimase nelle tasche del direttore.

Un racconto da film: un giornalista italiano Giovani Caporazzo (ho cercato ma non si trova niente) riuscì a entrare nel carcere e fotografare un detenuto arrivato con segni evidenti di torture pesanti. Il reportage ripreso a livello internazionale rese noto le condizioni delle carceri salvadoregne. L’effetto della denuncia fu paradossalmente contrario all’obiettivo di migliorare le condizioni dei detenuti. Infatti per rispondere all’accusa della Croce Rossa di non fare prigionieri ma di preferire esecuzioni immediate sul campo, la giunta militare per dimostrare che non era vero decise di riempire le carceri, peggiorandone le condizioni.

In realtà il racconto di Antonio è quasi melanconico ricordando il bel periodo di formazione da combattente, anche se dopo la liberazione si rifugerà in Messico. Però una grande figura, molto umana che ancora oggi gli capita di incontrare i suoi carcerieri e torturatori. Un altro aspetto anacronistico di questo paese dove tutto viene insabbiato, tutto viene nascosto nel segno del perbenismo conservatore di destra o di sinistra.

 

Il museo dell’UCA

 

 

 

 

 

 

 

Monsignor Romero

 

 

 

 

 

Carcere di San Salvador

 

 

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