Loubière, Parish of Saint George, Dominica

Un sabato mattina decido di prendermi qualche ora per uscire dalla routine casa-ufficio e decido di andare a fotografare la forza devastatrice dell’uragano. Correndo la mattina partendo da casa raggiungevo Loubière, un piccolo villaggio cinque chilometri a sud di Roseau che si sviluppa ai margini di un fiume. Mi aveva colpito il livello di distruzione. Scopro essere anche il villaggio dove vive il nostro autista Dwight, il quale mi ha raccontato ancora sotto choc come tra i dispersi di Maria ci fosse il suo miglior amico-vicino con la moglie. Verso le sette di sera quando l’uragano cominciò a salire di intensità e con esso il fiume che si gonfiava aveva detto all’amico di rifugiarsi a casa sua, più alta sul fiume. Avevano letteralmente messo in salvo tutta la famiglia con le tue bimbe piccole tirandoli fuori con cime. Poi nell’occhio del ciclone l’amico e la moglie avevano deciso di tornare a casa per prendere delle cose. Non hanno mai più ritrovato i loro corpi. Maria ha colpito Dominica per otto dalle nove di sera alle cinque del mattino. Una nottata d’inferno.

Armato della mia Leica vado quindi a fotografare la chiesa devastata, la casa distrutta (che poi scoprirò essere quella dell’amico di Dwight), al ponte spazzato via. Un po’ più in là dalla casa vicino al ponte mi invita ad entrare in casa un signore, capelli lunghi con le trecce e barba lunga anche quella con le trecce. Un vero rastafarian, come tanti sull’isola. Mi fa vedere la casa distrutta. Mi mostra dove si sono rifugiati al piano di sopra per sfuggire al fiume mentre il tetto volava via. E parliamo per due ore. Sul perché è successo, sul cambio climatico. Sulla ricostruzione, su quello che deve fare la gente. Su quello che fanno i politici. Sull’importanza degli aiuti. Sul fatto che bisogna rispettare la natura e che eventi naturali di questa forza sono un segnale affinché la rispettiamo più. Sulla necessità di ricostruire bene e che seguirà le istruzioni degli esperti e del governo perché anche se costerà di più è sempre meglio che perdere tutto. Sull’idea di business di vendere erbe curative ai turisti perché bisogna vivere in armonia con la natura. Sul fatto che pretendiamo troppo dalla madre terra mentre ci potremmo accontentare di poco. Il fratello si aggrega alla discussione. Tiene un bel cannone in mano alle nove del mattino! però ha un sguardo magnetico con degli occhi chiari che contrastano la pelle più scura. Sono entrambi lucidissimi e simpaticissimi, i fratelli Albert e Anthony Joseph. Il maggiore Albert mi mostra orgoglioso le foto della sua carriera di cuoco sulle navi da crociera. Fiero nella sua elegante divisa quasi sembra un ufficiale di marina. Dopo 30 anni di lavoro aveva raggiunto il grado più alto capo-cuoco. Ora in pensione con il sorriso con pochi denti rimasti ma tante idee. Maria ha piegato lui e suo fratello ma non li abbattuti. I fratelli Joseph sono pronti a ricominciare da capo. Hanno perso tutto tranne la voglia di vivere, in armonia con la natura.

Qualche mese dopo, di ritorno a Dominica per la valutazione del progetto, incontro Albert in una riunione con una decina di beneficiari dell’assistenza. Il suo aspetto rastafarian contrasta con gli altri e attira l’attenzione. Prende la parola per ultimo. Con voce calma ma profonda spiega che i soldi ricevuto sono importanti ma meno del sostegno psicologico e del sapere che la gente di Dominica non è stata abbandonata. Poi comincia a raccontare, costruendo la storia in un cresecendo, che ogni mattina vedeva un tipo correre fino al ponte vicino a casa sua. Scambio di sguardi e di saluti veloci. Poi un giorno il tipo si ferma li a fare foto e lo invita in casa e cominciano a parlare per tanto tempo, di tutto. Lo scambio umano è quello che conta, dice. Tutti i partecipanti alla riunione, compreso il mio capo basato a Panamá, si chiedono dove Albert vuole andare a parare. E da consumato attore si alza dicendo che questo tipo è qui oggi e lo voglio salutare e ringraziare. Si alza e ci abbracciamo. Un personaggio unico Albert che saluto con gesto rastafarian, pugno chiuso e due colpi sul cuore in segno di riconoscimento!

 

 

 

 

 

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