Dominica, uragano Maria.

Arrivo in Dominica un mese e dieci giorni dopo Hurricane Maria, dopo due giorni di viaggio da San Salvador passando da Panamá poi Trinidad and Tobago da dove faccio il “hop-ing” di alcune isole dei caraibi orientali da cartolina quali Grenada, Saint Vincent, Saint Lucia fino ad Antigua. Da Antigua volo umanitario verso meta finale Roseau, la capitale di Dominica. Attenzione! a non confondere Dominica con Repubblica Dominicana. Sta al lato opposto dei caraibi (sud orientali) e si parla inglese e non spagnolo. È difficile trovarla sul mappamondo poiché è il ventiduesimo stato indipendente più piccolo al mondo battendo di poco Tonga, Singapore e Andorra ma soprattutto il quattordicesimo più piccolo per popolazione con i suoi 76 mila abitanti. Quindi un sasso buttato nel mare dei caraibi che si trova esposto a quanto pare più delle isole vicine a tutte le possibili calamità naturali quali terremoto, tsunami, eruzione vulcaniche (ce ne sono 11!), smottamenti perché ha montagne molto ripide a picco sul mare.

Dominica è stata investita da due eventi devastatori in due anni. Tempesta tropicale Erika nel 2015 e Uragano Maria la notte tra il 18 e il 19 settembre 2017. Maria, da pronunciarsi con l’accento sulla “a” ha colto il paese di sorpresa. Delle calamità naturali immediate, gli uragani sono quelli più prevedibili e lasciano più tempo per mettersi al riparo. Però Maria non ha lasciato scampo. In meno di dodici ore è passato da uragano di categoria 1 a categoria 5 (scala massima), cioè venti a 140 km/h raddoppiati a più di 280km/h investendo l’isola da sud-est a nord-ovest e guadagnandosi il primato di decimo uragano atlantico più violento di tutti i tempi. Sulla sua corsa ha lasciato sul campo 70 morti, case spazzate, tetti divelti e ponti distrutti. Poi ha continuato la sua attività distruttrice verso Puerto Rico, devastandola.

Quando sorvolo l’isola a bassa quota con il piccolo bimotore a elica, la cosa che più colpisce è il grigiore dell’isola. Gli alberi sono completamente spogli. Le palme hanno perso la parte superiore. Alberi centenari abbattuti, sradicati. La foresta tropicale sembra fatta di tanti spunzoni come una spazzola per i capelli, grigia e vecchia. Avvicinandosi vedendo meglio le strutture, la seconda cosa che colpisce è la quantità delle case senza tetto. Infatti le inchieste per valutare i danni che faremo in seguito confermano che il 90% delle case hanno avuto danni, di cui il 30% totalmente distrutte e un altro 30% molto danneggiate cioè senza più servizi, tetto e forse neanche una stanza per dormire. In sostanza un disastro che ha colpito tutta l’isola. Ed è quello che mi colpisce di più: l’uragano ha investito democraticamente tutti ricchi e poveri. Tutto è distrutto. Tutti sono stati colpiti. Anche il primo ministro è stato evacuato, con la famiglia si sono sistemati in un’ala degli uffici del palazzo presidenziale. Quando parli con le persone qualsiasi sia l’argomento comincia sempre con il paragone before Mària. Per anni ci sarà un prima e un dopo Maria. Poi vedendo la devastazione ti chiedi da dove si ricomincia la ricostruzione.

Intanto c’è da assicurare i servizi minimi essenziali: acqua, cibo, salute, riparo, prime riparazioni alle infrastrutture, telecomunicazioni e logistica per muovere gli aiuti. E la macchina internazionale degli aiuti si è messa in moto subito. Io sono a carico di cibo, telecomunicazioni e logistica con un team di una ventina di colleghi in collegamento con gli altri operatori umanitari (per un totale di un centinaio di persone) e soprattutto il governo. Mi vengono in mente le parole del mio collega capo della logistica regionale che avevo incontrato a Panamá poco prima di partire per Dominica, lui di ritorno dopo esserci passato il giorno successivo all’uragano per una ricognizione dei danni. È stato il primo di tutta la comunità internazionale a raggiungere Dominica con il nostro volo umanitario. Mi commentava che non aveva mai visto una situazione del genere con gli abitanti completamente persi che si aggiravano tra le macerie con lo sguardo smarrito domandosi che cosa gli fosse successo. E certo non era la prima emergenza che vedeva. I nostri logistici sono incredibili: tu stai ancora pensando se ti devi muovere e cosa devi fare e loro sono già sul posto ad organizzare gli aiuti, o meglio innanzitutto a permettere a come fare arrivare gli aiuti sia da fuori l’isola alle zone più remote, a valutare i danni delle strade, a identificare le vie migliori, a definire le priorità e identificare le persone più vulnerabili. Con pochi giorni a disposizione prima che finiscano le riserve delle varie comunità.

La distruzione di Maria è stata causata da tre fenomeni. L’uragano stesso con la forza del vento a quasi 300 chilometri orari che ha fatto volare i container del porto commerciale spostandoli di mezzo chilometro come fossero scatoloni di cartone o ha piegato i pali di illuminazione dello stadio. La forza del mare e dei fiumi che sotto l’effetto della tempesta hanno spazzato via tutte le costruzioni sulla costa e al lato dei fiumi. Dominica, probabilmente l’isola più verde e selvaggia dei Caraibi, ha più di 300 fiumi che scendono rapidi dai pendii delle montagne a picco sul mare. I fiumi straripati hanno portato a valle tutto di tutto: tronchi di alberi, case, auto, pali della luce in groviglio di cose spinte in mare il quale ha riversato tutto sulle coste. Il terzo fenomeno devastatore è purtroppo causato dall’uomo. I giorni successivi al passaggio dell’uragano sfruttando il caos della distruzione, la mancanza di luce e l’impotenza della polizia hanno lasciato spazio alle bande di sciacalli hanno assalito negozi, uffici e case private portandosi via tutto quello che potevano. Tra le prime vittime la comunità cinese abbastanza numerosa before Mària sempre vista come stranieri hanno lasciato libero il campo abbandonando l’isola per farci ritorno solo dopo qualche mese per ritrovare i loro negozi e magazzini completamente vuoti. Ma ci sono anche altri posti impensabili attaccati dagli sciacalli. Mi raccontava la moglie di uno dei nostri autisti insegnante di una scuola elementare cha avevano portato via tutto dalla scuola. Mi chiedo cosa ci faranno i gessetti, le lavagne e qualche sedia e banchi di scuola per bambini delle elementari. Purtroppo succede in tutti i paesi, poveri o ricchi che siano. Però il lato bella della storia è come la stessa insegnante andasse fiera del fatto che con l’aiuto della comunità ha pensato di rimettere in piedi la scuola prima ancora di pensare alla propria casa. Nel giro di tre mesi praticamente tutte le scuole hanno riaperto mentre gli stessi bambini tornano in case con tetti coperti da teloni e senza elettricità. Nello stesso lasso di tempo meno di un quinto delle case hanno ritrovato luce e acqua corrente. L’educazione dei figli ha priorità su tutto. Questo dà speranza a un paese piegato ma con grande voglia di riscatto.